- La città è la casa è la città è la casa -
Recensione di mostra (Galeria Liminare, Lisbona, 5 sett-18 ott 2020)
      

Dal momento in cui si è diffuso il Covid-19, la mostra “A cidade é a casa é a cidade é a casa” è stata la prima che ho fisicamente visitato a Lisbona. Il suo obiettivo era investigare i cambiamenti dello spazio della città, inteso come spazio pubblico minacciato, e la relazione tra questo e i suoi abitanti. Negli ultimi mesi ho letto articoli, saggi e contributi specifici dedicati al tema della città post pandemia. Ho assistito a conferenze sui canali youtube e su zoom sull’urgenza di come le città dovrebbero essere pianificate, ripensate, riorganizzate per ridurre le disuguaglianze e migliorare l’accessibilità. La mostra è stata, dopo vario tempo, la prima esperienza tangibile di una ricerca, che sebbene non avrebbe dovuto essere correlata allo stato di emergenza, che è ancora in corso, ha rivelato l’estrema necessità di riflettere sull’influenza reciproca tra noi e l’ambiente urbano dove viviamo.

La Galeria Liminare è uno spazio fisico recuperato dal Municipio del quartiere di Lumiar nei locali della sua sede, in una delle zone più a nord di Lisbona, e il cui nome Liminare richiama il nome della sua via Alameda das Linhas de Torres, che rende omaggio alla linea difensiva Linhas de Torres Vedras creata nel 1810 durante le invasioni francesi.

Entrare nel complesso significa già fisicamente fare esperienza del nucleo della mostra. La piccola scala dell’ex Palazzetto della Quinta das Conchas, una tipica residenza nobile di campagna del XVIII secolo con il suo arioso cortile e i profili delicatamente curvi, è amplificata attraverso il gigante blocco di appartamenti rettangolare che si erge sullo sfondo come una cortina urbana pesante e compatta, costretta nella sequenza anonima di finestre e balconi all’interno di una rigida maglia ortogonale di cemento. 


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Palácio da Quinta das Conchas, Lumiar
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I curatori* hanno lavorato un anno per ideare e produrre una mostra che è diventata una ricerca impegnativa, dove cinque artisti con differenti pratiche artistiche hanno affrontato direttamente il concetto di spazio. In Mapping the Space #2 (2017) Ana Battaglia Abreu ha usato una struttura flessibile da misurare e adattare a diverse condizioni dello spazio, affrontando difficoltà nel raggiungere un equilibrio ideale tra la necessità, il desiderio e le possibilità del corpo di manipolare e cambiare la configurazione della struttura e le condizioni dello spazio, come incarnato dalla performance. Nello spazio della galleria la struttura sembra trovare un punto di riposo, che attiva il nostro corpo in un dialogo a tre tra noi, lo spazio e l’installazione, come quando facciamo esperienza delle pressioni urbane. Il lavoro Sem título (2011) di Luís Plácido Costa oggettivizza l’ambiguità dello spazio mostrando l’interrelazione tra chiusura e apertura come caratteristiche elementari dell’architettura. Un territorio non finito composto da un piano e un impianto aperto senza alcuna corrispondenza reciproca sottolinea l’ambiguità dello spazio oltre l’apparente oggettività. Lo spazio formato da e attraverso il suo stesso uso, sia collettivo sia individuale, è investigato e rappresentato nei tre lavori successivi. Marta Soares con Sem título III (2018) ha agito direttamente sulle pareti negli spazi pubblici e in un secondo momento gli strati sono stati staccati e posti su tela, un’azione simile allo stacco degli affreschi da una parete negli interventi di restauro. L’azione genera un pezzo dove l’artista raccoglie le “storie” di molti strati della parete e li sigilla unendoli con il suo gesto. Il video della performance Archivilisation   (2015) di Inês Norton mostra l’artista mentre usa scatole d’archivio come mattoni per costruire e decostruire pareti in una sorta di loop. La memoria collettiva e quella individuale si fondono nella costruzione dello spazio, intendendo l’architettura come gesto personale, che evoca il gesto dell’intera comunità. In Sem título (2017) Bruno Cidra ha creato un resto archeologico urbano, un conglomerato rappreso di materiali contemporanei che, senza svelare una determinata storia, ci porta verso l’appropriazione aggressiva dello spazio quotidiano considerato non rilevante, perché privo di importanza sia storica sia economica.

L’approccio curatoriale al tema è stato quello di usare la pratica degli artisti al fine di esplorare lo spazio urbano in diverse maniere, usando l’appropriazione, la creazione, l’oggettivizzazione come mezzi di investigazione. Durante gli anni ’70 gli architetti hanno usato la loro conoscenza dello spazio per intervenire attivamente su di esso e sulla vita urbana di ogni giorno. Secondo me l’architettura non può cambiare la società. Di certo, una buona o cattiva architettura può essere valutata secondo la qualità della vita che permette. Di certo, sappiamo già che alcune “soluzioni spaziali” incoraggiano l’esclusione. Ma lo spazio non è mai permanente. L’architettura viene da un’attività umana capace di adattare l’ambiente prima che l’essere umano inizierà ad adattarsi ad esso. Così come l’arte, l’architettura può essere una pratica per investigare lo spazio considerandolo come misurabile, come un concetto, come un modo di vivere.

È il momento di uscire dallo spazio della galleria e incontrare faccia a faccia il territorio della città, fare esperienza della sua ambiguità e dei suoi elementi costitutivi. I visitatori giungeranno alle loro conclusioni.


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Mapping the Space #2 (2017), Ana Battaglia Abreu
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Sem título ( 2011), Luís Plácido Costa
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Archivilisation (2015), Inês Norton
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Sem título (2017), Bruno Cidra
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Mostra: La città è la casa è la città è la casa (IT)
A cidade é a casa é a cidade é a casa (PT titolo originale)
Sede: Galeria Liminare
Date: 5 sett.-18 ott. 2020
Curatori*: Ana Bacelar Begonha, Ana Lanita, Carla Pacheco, Cheila Peças, Giovana Jenkins, Inês von Hafe Pérez, Inês Silvestre, Joana Alemão, João Cristóvão Leitão, Leane Lepre Jorge, Leonor Bica, Luisa Tudela, Mafalda Matos, Marcela Endreffy, Maria Mamourières, Marisa Pinheiro, Nicoletta Pavese, Patrícia Costa, Patrícia Lima e Rebeca Goldstein de Mendonça.



15 ottobre 2020




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